Rappresenta bene l’anima del verbo rivincere l’interminabile minuto che ha deciso la «partita del secolo», «partido del siglo», come recita la targa (vedi foto) esposta allo stadio Atzeca di Città del Messico, dove, il 17 giugno del 1970, davanti a 102.444 spettatori. l’Italia di Ferruccio Valcareggi batté 4-3 la Germania Ovest, nella semifinale del Mondiale di calcio.
L’infinito presente che definisce questo sito e invita alla rinascita e alla riconquista, traducendo l’infinita presenza di quella ricerca (quête) sempre ardente nello spirito dell’uomo non disposto ad arrendersi, è stato incarnato quel giorno da tutti i giocatori azzurri ma, soprattutto, da Gianni Rivera: nato ad Alessandria il 18 agosto del 1943 ed esordiente in Serie A a soli 16 anni, «non ha mai smesso di essere la vedette, contestata e amata, discussa, disprezzata e lodata, del calcio italiano», per dirla con le parole di Gianni Brera.
Ed è stato protagonista, prima nel male e poi nel bene, anche in quell’afoso pomeriggio, ricco di imprevedibili capovolgimenti di fronte: con l’Italia in vantaggio 3-2, nel secondo tempo supplementare, Rivera si era trovato sulla linea di porta a presidiare il palo alla sinistra del portiere Albertosi ma non era riuscito a respingere il pallone del pareggio tedesco, indirizzato in rete dalla testa di Gerd Müller. La disperazione assale il centrocampista, che finisce addosso al palo, quasi a volergli dare una testata, mentre Albertosi, inferocito, fissa il compagno, imprecando contro di lui.
Non c’è tempo né spazio, però, per lo sconforto perché, dopo aver rimesso la palla al centro, Rivera scalpita, pensando addirittura di poter scartare tutti i tedeschi, anche se poi restituisce il pallone a De Sisti, che lo consegna a Facchetti: il capitano lancia Boninsegna, il cui scatto sulla fascia sinistra è prepotente, prima di mettere a centro area l’assist per chi non si lascia sfuggire l’occasione del riscatto.
E così, nonostante la stanchezza, Rivera ha la lucidità per coordinare la finta che inganna il portiere Maier, sotto lo sguardo impietrito del monumentale Beckenbauer, mentre l’Italia intera si riunisce, pazza di gioia, in piazza, dove trascorrere l’intera nottata festeggiando, senza chiudere occhio, il 4-3 che manda gli azzurri in finale con il Brasile.

La voce del centrocampista, «completo e indiscutibile», che ha deciso la «partita del secolo», è ancora venata di emozione, rivivendo, dopo mezzo secolo e un lustro, quell’indimenticabile 17 giugno 1970.
Nell’audio proposto in questa pagina, Rivera, che l’anno prima aveva ricevuto il «Pallone d’Oro», racconta anche l’amarezza per aver giocato appena sei minuti della finale persa, quattro giorni dopo, con il Brasile di Pelé, pronto a portarsi a casa la Coppa Jules Rimet, vincendo 4-1. Quell’esclusione è ancora una ferita aperta per il calcio italiano, come riconosce l’ex giocatore: «Ammesso e non concesso che ci fossero delle situazione fisiche mie particolari, l’unica squadra che avrei dovuto affrontare senza problemi era proprio il Brasile e a me è capitato anche di batterlo…».
